Al largo della distesa
del tempo
in silenziosa
attesa armando
le ciglia di orpelli
di polvere.
Vedo le loro due teste, di profilo, illuminate da una piccola lampada da comodino: la testa di Jean-Marc appoggiata sul cuscino, quella di Chantal china su di lui, a pochi centimetri dal suo viso. Lei diceva: «Non staccherò più gli occhi da te. Ti guarderò continuamente».*
Fatti di sguardi
composti
arricciati sulle
onde attigue di
polsi all'incrocio.
E, dopo una pausa: «Ho paura, quando le mie palpebre si abbassano. Paura che nell'attimo in cui il mio sguardo si spegne al tuo posto si insinui un serpente, un ratto, o un altro uomo».**
Lisciando con dita
ferme
il rifluire del tempo
carezza temporale
all'abbraccio insolito.
Lui cercava di sollevarsi un poco per poterla sfiorare con le labbra.
Lei scuoteva la testa: «No, voglio soltanto guardarti».
E poi: «Lascerò la lampada accesa per tutta la notte. Tutte le notti».***
Farsi beffe della
luce albeggiando
immobile tra gli
occhielli alla finestra.
Irrido innocente
la notte. Ai miei
polsi monili di serpi.
M. C. T.
* M. Kundera, L'identità, p. 175.
** Ivi, p.176.
*** Ibid.
In immagine Stehende Frau in Rot, 1913, Egon Schiele.